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LIBRO

Termine che comunemente indica un certo numero di fogli stampati, variamente piegati, numerati progressivamente, legati assieme e protetti da una copertina. In questa forma il libro nacque all'inizio del Quattrocento, soprattutto per rispondere alla domanda di cultura avviata dal moltiplicarsi delle università e dal fervore dei rapporti commerciali; domanda che alla metà del secolo portò all'invenzione della stampa a caratteri mobili, attribuita in occidente al tedesco Johann Gutenberg. Fu questa invenzione a fare del libro, già nel corso del Cinquecento, il primo mezzo di comunicazione di massa.

GLI ANTICHI VEICOLI DELLA SCRITTURA. Tuttavia, in quanto veicolo di scrittura, il libro ha una storia fatta anche degli strumenti portatori di scrittura che l'hanno preceduto. Il libro è, etimologicamente, la leggera pellicola lattiginosa che sta tra la corteccia e la superficie del fusto dell'albero, chiamata liber dai romani e biblos dai greci. Non è provato tuttavia che questa delicatissima membrana sia mai stata usata come supporto scrittorio, anche se la scrittura su corteccia e su foglie fu largamente diffusa in varie zone del globo ed è ancora praticata in qualche zona dell'Indonesia. Le prime forme di libro conosciute sono mesopotamiche: si tratta di tavolette di argilla, materiale di cui la "terra tra i due fiumi" era ricca: la forma dell'alfabeto cuneiforme, che vi è usato, è condizionata proprio da questo materiale, sul quale si scriveva con punte di legno o metalliche. Le tavolette più antiche, contrariamente a quanto si crede, non contenevano testi sacri, ma inventari di materiali e merci necessari alla gestione del palazzo reale. Tavolette, ma di legno incerato, usavano altri popoli antichi, come ebrei e fenici; questo supporto scrittorio era del resto diffuso anche a Roma, soprattutto nella scuola e nella burocrazia, con il nome di codex che letteralmente significa tronco. Già nel secondo millennio gli egizi introdussero l'uso del papiro, una sottile pianta acquatica, tipica delle coste del Nilo, il cui fusto svolto e disteso veniva incollato a strati incrociati: vi si scriveva con inchiostro distribuito mediante bastoncini masticati a un'estremità e, più tardi, con sottili pennelli. Una volta scritto in fitte colonne, il foglio di papiro veniva arrotolato: da qui il termine volume, da volvo cioè avvolgo, arrotolo. L'uso del papiro durò per secoli anche dopo l'avvento della pergamena, preparata facendo seccare pelli animali, soprattutto ovine, nata a Pergamo, secondo la leggenda, per contrastare il monopolio egiziano, e quindi anche l'alto costo, del papiro. Tra il IV e il V secolo la pergamena sostituì quasi ovunque il papiro; rimase in uso per secoli anche dopo che dalla Cina, dov'era stata inventata all'inizio del II secolo, la carta giunse in Europa lungo la "via della seta". Nel Medioevo il libro, al quale accedevano ancora pochissimi lettori, in gran parte ecclesiastici, era, dunque, costituito da fogli di pergamena piegati in quattro (quaderni) o più parti (quinterni, eserni), sui quali la scrittura si disponeva perlopiù su una o due colonne, tenuti assieme da una cucitura centrale, senza frontespizio né copertina. Fino a tutto il Duecento le pagine non erano numerate, ma i fogli venivano distinti da lettere dell'alfabeto o da numeri romani. Nell'antichità classica, in Grecia e a Roma, esistevano editori che si avvalevano dell'opera di gruppi di amanuensi che scrivevano sotto dettatura.

STRUMENTO DI EVOLUZIONE DELLE ELITE. Dopo la crisi dell'impero romano, e per molti secoli, il libro si rifugiò nei monasteri, soprattutto benedettini, che funzionarono dunque da filtro nel recupero della tradizione letteraria classica. A Montecassino e a Bobbio, ma anche altrove in Europa (a Chartres, a San Gallo, a Fulda, a Reichenau) i conventi divennero formidabili produttori di cultura scritta, oltreché orale. Così quando, sul finire del XIV secolo nel pensiero letterario e poco più tardi nell'arte, l'Europa andò alla ricerca delle proprie radici culturali, gli umanisti (molti dei quali erano, del resto, ecclesiastici) ricercarono nei codici ricopiati nei monasteri i modelli della classicità. Una capillare diffusione di scuole religiose e di università laiche, già in età comunale, dopo il Mille, aveva intanto rimesso in movimento la produzione e il commercio di strumenti di nuova cultura, rappresentati quasi esclusivamente da libri: Salerno, Bologna, Parigi, Cambridge, Oxford, Salamanca, Coimbra, Heidelberg divennero centri internazionali di commercio della carta e di testi fondamentali per la società, non soltanto del tempo. Accanto ai libri manoscritti comparve in questo periodo il cosiddetto libro xilografico, realizzato per impressione mediante tavole di legno sulle quali erano scolpiti in rilievo caratteri e illustrazioni. Per poter rappresentare un risparmio economico rispetto al manoscritto questo tipo di libro, dalla laboriosissima preparazione, doveva essere riprodotto in un numero ragguardevole di copie e veniva perciò impiegato per testi devozionali di larga diffusione per quei tempi, quali la celeberrima Biblia pauperum, la Bibbia dei poveri. L'invenzione dei caratteri mobili, a metà del XV secolo, coincise, soprattutto in Italia, con la fioritura rinascimentale e così i primi libri a stampa ebbero una buona qualità: i primi caratteri di stampa, come il gotico, furono mutuati dalla scrittura manuale e per molto tempo capilettera e illustrazioni continuarono a essere rappresentati da preziose miniature a colori. Solo più tardi, per le esigenze, peraltro positive, di una diffusione relativamente di massa, si fece ricorso all'illustrazione monocroma, xilografica prima e calcografica poi, e il libro pagò le conseguenze della propria fortuna con un ingrigimento della qualità che si accentuò nel XVIII secolo, con la crescita vertiginosa della domanda. La prima grande tradizione tipografica è tedesca: una sorta di diaspora felice aveva sparso per l'Europa gli epigoni di Gutenberg, come i monaci K. Swynheim e A. Pannart che fondarono attorno al 1465 a Subiaco, presso la Roma papale, la prima tipografia libraria in territorio italiano. Con essi si diffuse, accanto al gotico, un carattere detto, antiqua, derivato dalla calligrafia carolingia, che ebbe gran fortuna nella Venezia dogale del Rinascimento, dove, sull'esempio del tedesco Giovanni da Spira e del francese N. Jenson, si formò la prima vera tradizione tipografica italiana, soprattutto con Aldo Manuzio il Vecchio, ideatore del carattere cancelleresco detto italico o, dal suo nome, aldino. Così fin dal XVI secolo l'Italia divisa del tempo si impose come sede di straordinari editori, alcuni dei quali, come i fiorentini Giunti, ancora attivi. Fino al Settecento, quando si consolidò la presenza sociale di fogli periodici, il libro rimase uno strumento non soltanto di cultura e di svago, ma anche di attualità. Attraverso le sue pagine passavano il dibattito politico e culturale, la cronaca, lo sviluppo delle scienze, l'immaginario poetico e romanzesco. Accanto alle forme dell'arte visiva e alla musica, il libro rappresentò dunque per un pubblico sempre più vasto il punto di congiunzione tra immaginazione e realtà, godendo per primo, rispetto agli altri mezzi di comunicazione artistica, dei vantaggi della riproducibilità dell'opera. Nonostante le crisi periodiche di gusto e di creatività e le difficoltà prodotte dalla babele linguistica in un mercato sempre più grande, si può dire che il libro sia stato, fino all'avvento della televisione e delle tecnologie elettroniche, il più importante strumento di evoluzione consapevole delle elite culturali e, quindi, della società.

P. Guardigli